Ciao a tutti!
Oggi parlo di un argomento che mi ha colpito molto; ieri ho ricevuto la mail che ho incollato di seguito dal mio professore di Geografia e Territorio, il prof. Cesare Stendardi, un uomo di buon cuore che insegna anche ai detenuti nel
carcere fiorentino di Sollicciano. Facendo conoscenza con questi
detenuti si è imbattuto in una storia molto triste che sembra essere legata a uno dei temi più attuali della nostra società moderna: la
tolleranza.
Leggete qui di seguito e se volete lasciate pure il vostro parere così da aprire anche un dibattito.
"Cercate di inviare questa lettera a tutti i vostri amici: l'obiettivo è quello di creare una specie di catena di S. Antonio per tentare un'impresa molto difficile, far riaprire il processo contro Martin Lazri.
Ha trovato nuovi testimoni ma è albanese....."
Di: Martin Lazri [carcere di Sollicciano]Mi chiamo Edmond: sono un giovane della mia terra d’Albania e, come molti giovani del mio paese, sono partito da casa con un filo di speranza cercando un paese democratico e giusto nelle sue leggi.Ho scelto l’Italia! L’ho sempre avuta nel cuore: le bellissimi città, le campagne, i suoi mari, le sue isole e, soprattutto, l’arte!Ho studiato abbastanza, ho una certa cultura e ho scelto Firenze. Dio, come è bella! Con i suoi monumenti, le sue piazze, i suoi grandi artisti, da Michelangelo e Leonardo, Brunnelleschi… Andavo a visitare tutto questo ben di Dio e, come tutti i giovani, conobbi lei, una bellissima ragazza, Donika.Si stava bene insieme, ci innamorammo, si pensava già al futuro: avere una casa tutta nostra con tanti bambini.A volte, si sa, sono sogni di noi giovani, ma si spera che si avverino.Purtroppo, e c’è un purtroppo, i nostri sogni sono finiti per una fatalità! Un litigio, un maledetto litigio verbale fra fidanzati che si amano!Il destino si è messo in mezzo, il destino, provocando la sua morte!E in quel momento tragico è come se fossi morto anch’io: lei morta, gettandosi dalla finestra, io, morto dentro di me, perché non sono riuscito a salvarla. È stato inutile anche il tentativo di tirarla su, non avevo più la forza e, con la mia più profonda disperazione, sentivo il suo polso nella mia mano che pian piano scivolava. Vidi con i miei occhi terrorizzati la sua bellissima figura andare giù. Mi scivolò, lo ricorderò per sempre, fino alla mia morte.Dio mio, perché hai lasciato che accadesse, perché non mi hai dato la forza di tirarla su? E urlai un “noo DoniKa”. La volevo seguire, furono frazioni di secondo.Una voce mi diceva: “fermati!”. Queste voci, queste scene le ho sempre nei miei occhi e dentro di me.Il dopo: Vengo arrestato e accusato di omicidio!Io non ci volevo credere, pensavo: “Hanno fatto un errore, sono in Italia, un paese democratico e giusto”. Non è possibile, non potevo credere!Pregavo Dio di fargli capire che io, proprio io, ero morto con lei, la mia dolce Donika.Il Signore mi vuole ancora vivo, nella speranza della verità.La notte per me è un incubo: mi agito continuamente, fino a poco tempo fa mi hanno riempito di ansiolitici.Ho sempre negli occhi il mio dolce amore e quella visione mentre cadeva: non ho potuto salvarla!Cominciai, come ho sempre fatto, a pregare. Cominciò il processo di I° grado.
Tutte le persone presenti mi guardavano con segni di disgusto e le poche parole che mi riusciva di intuire o percepire erano: “Che vuoi,anche questo è un albanese”.
Lo ha detto anche il PM, c’è la registrazione!Io pensavo: “Dio mi guarda e vede anche voi, gente di malafede”.Anche se sono morto dentro di me, avevo la speranza di poter far luce sulla verità e poter uscire a testa alta da questa brutta storia e dover guardare io negli occhi questa gente, solo negli occhi, per far capire il dolore che provo in me.Ho perso la sua vita e anche la mia, per sempre.Al processo, sia di I° che di II° grado, la giuria (o il giudice, questo non l’ho mai capito!) mi condanna a 24 anni. Non potevo crederlo, proprio non lo volevo credere!“Possibile – dicevo tra me – come mai il mio Dio non ha aperto gli occhi alla verità? Perché, e ci sarà un perché, io devo soffrire più di quello che sto già soffrendo? Che motivo ci può essere? Io ho fatto di tutto per tenerla stretta nelle mie mani, ma lei lasciò andare anche l’altra sua mano e non mi aiutava per poterla tirare su. Allora, perché devo continuare a soffrire tre volte di più? Donika, lei sa la verità e anche Nostro Signore Onnipotente conosce la verità”.Mi portano in prigione!Il giorno, la notte, ogni ora ripenso a quei momenti, al mio amore, alle sue parole, a quanto ci amavamo, a come l’amo tuttora.Io non avrei mai fatto e non farei mai una cosa del genere, e dico mai, nemmeno al mio peggior nemico. Sono cristiano e il peccato non è il mio credo: sono umano e rispettoso con tutti e spero, finchè vivrò, di continuare a essere così.Una notte, una brutta notte ho tentato il suicidio, perché non potevo resistere a questa ingiustizia. Mi hanno salvato i miei compagni di cella e di sventura. Ho pianto a dirotto e loro stessi mi hanno dato la forza di reagire. Un grande ruolo ha avuto anche la psicologa nel confortarmi per quasi tre anni, così come mi sono stati molto vicini con il loro affetto gli insegnati della scuola superiore. Sembra che il Signore li abbia mandati a proteggermi, confortarmi per far fronte a tutto questo male, a queste ingiustizie.Nella mia angoscia sto aspettando la Cassazione e ripenso al processo di I° grado e all’appello, al giudizio che la giuria (o il giudice) ha espresso.Ho sperato, pregando, che avessero commesso un errore di trascrizione. Invece è un’amara verità: anni 24.Qui, dove mi trovo, vado al lavoro e a scuola, cerco di distrarmi anche se è molto difficile. La notte per me è diventata un tormento continuo, mi domando: “Ma sono colpevole? Di quale colpa mi sono macchiato? Di averla amata, di amarla, di non aver potuto far niente per salvarla?”Per la giuria (o il giudice) sono colpevole: solo Dio e Donika sanno la pura verità, compreso me. A me e a un testimone non hanno voluto credere!Spero e prego e, ripeto, spero e prego il Signore Dio Onnipotente, perché davanti agli uomini e ai giudici esca tutta la verità su di me e su Donika, mio grande amore.Io “albanese” a volte ripenso: “Possibile che mi abbiate condannato perché sono “albanese”? Un paese democratico e giusto come l’Italia? Non vorrei crederlo!”.Avendo studiato e avendo un po’ di cultura, mi ritorna in mente il popolo italiano dopo la II guerra mondiale e i racconti di mio nonno che ha dato rifugio a tanti italiani ricercati dai tedeschi. Mio nonno ha salvato tanti italiani!Gli italiani che hanno vissuto l’emigrazione, che hanno cercato di costruirsi un avvenire migliore, che hanno patito discriminazioni, hanno avuto una storia simile agli albanesi che oggi vengono in Italia per costruirsi un avvenire migliore lavorando duramente.Con questa mia storia terribile faccio appello al cuore e alla coscienza di chi la leggerà perché mi sostenga nella ricerca della giustizia. Io continuo a pregare, prego per i giudici e i giurati, perché siano illuminati e perché non mi facciano morire una seconda volta. Aspetto la verità ricordando Donika.Ho parlato del mio amore e del mio dolore, di chi mi dà conforto e la forza di andare avanti. Non è facile per me parlare di felicità, perché l’ho perduta, ma so che esiste perché l’ho provata. Chi mi sostiene giorno per giorno mi fa capire che finchè ci saranno persone che credono, che lottano per la verità e per accogliere chi ha bisogno, c’è la speranza di un mondo migliore. In un mondo che va verso il bene, c’è la possibilità di essere felici. Martin Lazri – alias Edmond Parubi, Carcere di Sollicciano – maggio 2007